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Una svolta dottrinale contro i piani della Cina
Settembre 1st, 2006 by admin

Repubblica — 17 settembre 2006   pagina 2728   sezione: DOMENICALE

Chi ha riconosciuto l’ attuale Dalai Lama come quattordicesima reincarnazione del suo predecessore? E il decimo Panchen Lama, reincarnazione del Nono? Da più di quattro secoli, cioè da quando è stato introdotto il sistema della reincarnazione per il Budda vivente che è il tratto distintivo del buddismo tibetano, è sempre stato il governo cinese a dire l’ ultima parola su chi, in Tibet, deve reincarnarsi in chi. Per la teocrazia dei monaci la successione via reincarnazione non era il punto fondamentale, anche se significava potere; e per il potere le varie sette si sono sempre dilaniate in lotte intestine, fino a quando non hanno implorato l’ aiuto della Cina, riconoscendo all’ Impero una sorta di facoltà arbitrale. Fu così che nel 1689 si registrarono all’ Ufficio per gli affari mongoli e tibetani di Pechino, ben 148 “papabili” alla reincarnazione, non soltanto della prima autorità, il Dalai Lama, o della seconda, il Panchen Lama, ma di tanti altri Budda viventi. Oggi però ci si chiede quale funzione possa svolgere nella nomina di un reincarnato un governo cinese che si dichiara comunista e ateo. Comunque è un privilegio al quale Pechino non intende rinunciare e per questo è notevole, soprattutto dal punto di vista politico, quanto propone il Dalai Lama. Negando infatti il dogma della reincarnazione e affermando che il suo successore potrebbe essere eletto, è riuscito a prendere in contropiede Pechino, che attende ansiosamente il momento in cui egli passerà a miglior vita (il Nirvana, finalmente!) per scegliere il suo reincarnato. Come? Macché elezioni, per carità~ A Pechino i comunisti si tengono sulla retta via della tradizione, tant’è vero che nel 1995 hanno scelto la “vera” reincarnazione del decimo Panchen Lama (la seconda autorità spirituale del buddismo tibetano) morto in circostanze oscure a Lhasa nel 1989, dopo aver passato anni e anni nelle galere cinesi all’epoca della Rivoluzione culturale e dopo aver messo al mondo una figlia, Renji, nata nel 1988, frutto delle sue tardive nozze con una donna cinese. Che c’entra la ragazza? C’entra anche lei: infatti è invisa a Pechino per non aver accettato di prosternarsi in adorazione della reincarnazione di suo padre, cioè davanti all’undicesimo Panchen Lama, il bambino che il comitato creato ad hoc dal Partito comunista cinese ha contrapposto ad un altro bambino che era stato scelto come reincarnato del suo povero papà dal Dalai Lama in persona. E che poi è sparito, se ne sono perse le tracce. Ma era cattivo, un bambino detestabile, il quale, come ha reso noto la Agenzia Nuova Cina, “è stato visto affogare un cagnolino con le sue proprie mani, per puro divertimento, crimine imperdonabile per il buddismo “. E i suoi genitori “non erano persone pie e oneste ma speculatori che hanno cercato di trarre profitto dalla situazione”. L’undicesimo Panchen Lama, il ragazzo davanti al quale la bellicosa Renji avrebbe dovuto prosternarsi, era invece un bambino di nome Gyancain Norbu, del villaggio di Nagchu, figlio di una coppia di funzionari locali del Partito comunista. Come dire che le vie della reincarnazione sono infinite. Per questo il Dalai Lama ora avanza la proposta di vie meno infinite ma un tantino più democratiche. La ragazza Renji, invece, potrebbe anche avanzare pretese dinastiche, almeno per quanto riguarda la successione alla seconda carica spirituale del Tibet. Dicono che ci stia pensando, altrimenti non si spiegherebbe come mai Pechino abbia posto il veto alla diffusione di notizie che la riguardano. Poco male, lei ha studiato otto anni negli Stati Uniti e fa avanti e indietro dalla Cina all’America, vera creatura del XXI secolo, bellissima e con l’ombelico al vento. Dovrei ora dire – o non dire? – che ho conosciuto il suo papà, mio coetaneo? Lo dico: a Pechino, nel 1960, quando ero all’università, ho giocato a ping pong con lui. E c’era anche un ragazzo niente male quella sera, si chiamava Ernesto Guevara. Allora io ero convinta, cioè la propaganda mi aveva convinta, che il Tibet fosse una terribile arretrata teocrazia. E soltanto tornata in Italia ho saputo che il bel tipo era il Che. Il mio compagno di ping pong, il padre di Renji, è stato poi accusato dai tibetani di essere un “collaborazionista” dei cinesi, cioè delle forze di occupazione del Tibet, e dai cinesi di essere un “serpente feudale”. Ora penso, e lo dico, che il Dalai Lama è veramente un Budda vivente, e cosa significhi Budda appena lo intuisco, ma di certo è una cosa grande. E poi un Budda eletto, che meraviglia! E che lezione alla Cina, con le sue reincarnazioni di regime. – RENATA PISU


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