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IL NOBEL AL DALAI LAMA UNO SCHIAFFO’ ALLA CINA
Ottobre 6th, 1989 by admin

Repubblica — 06 ottobre 1989   pagina 16   sezione: POLITICA ESTERA

OSLO Il Dalai Lama, il capo spirituale del buddismo tibetano in esilio in India, ha vinto l’ edizione 1989 del premio Nobel per la Pace. Nel motivare l’assegnazione dell’ importante riconoscimento, il comitato del premio dichiara di aver voluto sottolineare il fatto che il Dalai Lama, nella sua lotta per la liberazione del Tibet, si è opposto con coerenza all’ uso della violenza. Egli ha sempre patrocinato soluzioni di pace basate sulla tolleranza e sul rispetto reciproco per mantenere nel tempo l’ eredità storica e culturale del suo popolo. Alla notizia del premio al Dalai Lama, l’ ambasciata della Repubblica popolare di Cina a Oslo ha accusato duramente il comitato del Nobel. Si tratta di interferenza negli affari interni della Cina e ciò colpisce i sentimenti del popolo cinese, ha detto il consigliere di ambasciata Wang Guisheng, che ha aggiunto: Gli affari del Tibet riguardano solo ed esclusivamente la Cina. Il Dalai Lama non è un semplice capo religioso, ma anche una figura politica che tende a dividere la madre patria e a minare l’ unità nazionale. Il portavoce del Dalai Lama ha detto che quanto accaduto la scorsa primavera in Cina ha aperto gli occhi del mondo sul problema tibetano, portando così l’ attribuzione del Nobel per la pace al capo spirituale del Tibet. Il premio ammonta a tre milioni di corone svedesi (circa 650 milioni di lire italiane). Il Dalai Lama era stato presentato quest’ anno come candidato per la terza volta consecutiva. UNA SPERANZA PER IL TIBET AI TIBETANI dico che se c’ è una possibilità di ottenere qualcosa con la forza, allora, forse, questa violenza è giustificata. Ma in realtà la nostra posizione non è quella della violenza. E’ piuttosto quella della ragione, della verità, della pace. Nel vocabolario del Dalai Lama la parola violenza è un’ espressione ricorrente, così come il termine pace per il cui impegno gli accademici di Svezia gli hanno conferito ieri il premio Nobel. Nelle decine di interviste che ha rilasciato ai giornali di tutto il mondo, nelle centinaia di conferenze tenute in ogni continente a sostegno del suo popolo, pace e violenza si rincorrono di continuo assumendo il valore di parole-cardine. Ammiratore del Mahatma Gandhi anch’ egli assertore della disobbedienza civile e della violenza in circostanze di forza maggiore il Dalai Lama, il cui nome in mongolo-tibetano significa oceano di virtù, è il capo supremo del buddismo nel suo paese, e leader spirituale e territoriale dei sei milioni di tibetani che lottano contro l’ occupazione cinese. Ma il conferimento del premio al papa giallo ha suscitato, come spesso è accaduto negli ultimi anni, perplessità e sorpresa. Le credenziali che il capo spirituale del Tibet poteva esibire in fatto di impegno globale per la pace appaiono modeste rispetto ad altre personalità politiche. La sua nomina ha bruciato candidature considerate più forti dagli osservatori. I nomi della vigilia erano quelli di Gorbaciov e Reagan. E in posizione ancora più solida figuravano due noti esponenti del riformismo nell’ Est europeo, entrambi cecoslovacchi, l’ ex ministro degli Esteri durante la Primavera di Praga, Jiri Hajek, e lo scrittore dissidente Vaclav Havel. La televisione norvegese, nel commentare la scelta del Dalai Lama per l’ assegnazione del prestigioso riconoscimento, l’ ha definita uno schiaffo in faccia alle autorità di Pechino dopo la sanguinosa repressione degli studenti in piazza Tienanmen. E lo stesso Egil Aarvik, presidente del comitato svedese, ha affermato che il premio poteva essere letto come un segnale di incoraggiamento al movimento democratico in Cina, salvo poi diramare una smentita dopo la protesta dell’ ambasciata cinese ad Oslo, che contribuiva però a rafforzare ancor più la motivazione politica. Il conferimento del Nobel ha precisato Aarvik non nasconde speculazioni politiche, aggiungendo che gli sviluppi nell’ Est, non meno di quanto avvenuto in Cina, hanno fatto del Dalai Lama il candidato di primo piano quest’ anno. Non è escluso che all’ interno del comitato dei saggi ci sia stato un acceso dibattito. Le divisioni che intaccano da qualche tempo il prestigio e la credibilità della Svenska Akademien sono del resto note. Quando nella primavera scorsa la maggioranza dei Diciotto ritenne inopportuno prendere una posizione precisa a sostegno dello scrittore anglo-indiano Salman Rushdie condannato a morte da Khomeini, due membri insorsero annunciando le proprie dimissioni. Oggi, viceversa, la scelta del Dalai va letta come l’ intenzione esplicita di aumentare l’ isolamento della Cina dopo i fatti di Tienanmen. Dalla California, dove si trova per un giro di conferenze a sostegno dell’ autonomia del suo popolo, il leader tibetano si è detto ieri profondamente toccato per il riconoscimento che gli è stato assegnato, ricordando di essere un semplice monaco che cerca di promuovere la pace nel mondo. Cinquantaquattro anni, nato in un piccolo villaggio del Tibet da una famiglia di contadini, il Dalai il cui vero nome è Tenzin Gyatso è in linea di successione il 14ø capo spirituale nell’ antichissima tradizione dei Lama tibetani. Nel 1950, a sedici anni, assunse il completo potere politico del Tibet e poco tempo dopo visitò la Cina incontrando Mao, Chu En Lai e l’ attuale leader Deng Xiaoping. Ma dopo l’ intervento delle truppe di Pechino dovette abbandonare Lhasa, la capitale tibetana, rifugiandosi a Dharmsala, in India, dove riceve migliaia di fedeli in pellegrinaggio. Buon amico di Giovanni Paolo II, il leader buddista ha varato lo scorso anno una offensiva diplomatica con una serie di proposte al governo cinese riunite nel cosiddetto piano in cinque punti, che Pechino però rifiuta. Appassionato di meccanica, bricolage e giardinaggio, il Dalai si alza alle 4.30 del mattino e divide le sue giornate tra meditazioni e preghiere ascoltando la Bbc o Radio India. Quando l’ altra notte gli è stata data la notizia, dicono i suoi seguaci, il Dalai Lama non stava dormendo, ma era in piena meditazione. Non abbiamo voluto interromperlo hanno spiegato glielo abbiamo detto solo un paio d’ ore più tardi.

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