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Oltre 5mila tibetani riuniti in Cina per riaffermare la loro identità nazionale
Luglio 9th, 2011 by admin

Il professor Samdhong Rinpoche, ex Kalon Tripa (Capo di gabinetto) del governo tibetano in esilio: “Per partecipare allaffollatissimo 'incontro  di Kardze i tibetani hanno rischiato di essere arrestati o fatti sparire, hanno scelto di rischiare ogni cosa per celebrare e preservare la cultura tibetana”.

Il professor Samdhong Rinpoche, ex Kalon Tripa (Capo di gabinetto) del governo tibetano in esilio: “Per partecipare allaffollatissimo 'incontro di Kardze i tibetani hanno rischiato di essere arrestati o fatti sparire, hanno scelto di rischiare ogni cosa per celebrare e preservare la cultura tibetana”.

A Kardze (Sichuan) si sono riuniti per 10 giorni monaci e cittadini di decine di monasteri, parlando in tibetano, per discutere dei valori e dell’unità nazionale del Tibet. Grande emozione per i partecipanti, specie i più giovani. “Siamo pronti a rischiare tutto, per difendere la nostra cultura”.

Dharamsala (AsiaNews) – Oltre 5mila monaci e cittadini tibetani si sono riuniti presso il monastero Lithang Gonchen, a Kardze (Ganzi in cinese) nel Sichuan dal 15 al 24 luglio, per parlare dei valori e dell’unità nazionale del Tibet, sfidando il divieto cinese.

Atruk Tseten, membro del parlamento tibetano in esilio con sede a Dharamsala (India), ha spiegato all’agenzia Radio Free Asia che le autorità cinesi hanno dapprima cercato di limitare il numero dei partecipanti, ma poi hanno desistito dall’interferire, sebbene le forze di sicurezza siano rimaste schierate poco lontano. “Questo incontro – ha aggiunto – ha avuto un grande impatto sui partecipanti più giovani e li ha aiutati a comprendere la loro identità come tibetani”. L’evento è stato curato nei dettagli, con indicazione ai partecipanti di parlare soltanto in tibetano e di indossare gli abiti tradizionali. Anche se Tseten nota che erano stati invitati monaci e tibetani di oltre 100 monasteri, ma sono arrivati partecipanti di soli 40 o 50. Era presente pure una delegazione del monastero di Kirti, da mesi soggetto a un controllo diretto della polizia che ha sottoposto a corsi di “educazione patriottica” i monaci e ne ha deportati circa 300. Il Tibet accusa la Cina di praticare un vero genocidio culturale: la lingua tibetana è bandita nella vita amministrativa e nelle scuole in Tibet e negli ultimi anni molti scrittori in lingua tibetana sono stati colpiti con carcere solo per avere raccontato i problemi e la vita del loro popolo. Durante la riunione sono stati esposti il ritratto del Dalai Lama e quello del Panchen Lama, sebbene Pechino lo abbia proibito e punisca con il carcere chi espone la foto del Dalai Lama. “Molte persone – ha commentato Tseten – mi hanno detto che è stato come avere con loro Sua Santità il Dalai Lama in persona e riceverne la benedizione”. Il professor Samdhong Rinpoche, ex Kalon Tripa (Capo di gabinetto) del governo tibetano in esilio, spiega ad AsiaNews che “per 60 anni la Cina è stata convinta di poter trasformare i tibetani in cittadini cinesi, anche tramite la forza, l’apparente sviluppo economico e benefici finanziari. Questa massiccia manifestazione è una dimostrazione del cuore e dello spirito tibetano, il nostro cuore non può essere cambiato”. Questa generazione di tibetani non ha visto il Dalai Lama, in esilio dal 1959, e l’incontro ha reso evidente la fede e la lealtà che i tibetani hanno per il Dalai Lama. Loro sono uniti per l’amore e la devozione verso il Dalai Lama e verso il buddismo tibetano. Il loro impegno verso l’insegnamento e la leadership spirituale del Dalai Lama rimane costante”. Questo incontro rende evidente come sia futile il tentativo della Repubblica popolare di Cina di compiere un genocidio culturale, nonostante l’uso brutale della forza come di recente verso il monastero di Kirti”. “Per partecipare a questa riunione, i tibetani hanno rischiato di essere arrestati o fatti sparire, hanno scelto di rischiare ogni cosa per celebrare e preservare la cultura tibetana”. (NC)


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