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Dekyi Choezom si dà fuoco
Luglio 3rd, 2012 by admin

monaca-immolataQinghai: per protesta contro il sequestro della casa, Dekyi Choezom donna tibetana di 40 anni circa e madre di due figli si èdata fuoco. L’auto-immolazione è avvenuta la scorsa settimana, ma è emersa solo oggi. All’origine del gesto la confisca dei terreni imposta dalle autorità di Pechino. Nella zona imposta una rigida censura. La donna ha riportato ferite “gravi”; al momento non si hanno notizie sulle condizioni di salute. Ai parenti negato il permesso di visitarla. Dharamsala (AsiaNews/Agenzie) – Una donna tibetana si è data fuoco per protesta contro la politica di confisca dei terreni promossa dalla Cina. L’auto-immolazione è avvenuta la settimana scorsa – anche se la notizia è filtrata solo oggi attraverso le maglie della censura – nella provincia occidentale di Qinghai; fonti locali confermano che il rogo è legato al sequestro “della sua residenza” deciso da Pechino. La donna con altre 70 famiglie protestava contro la confisca delle loro case per farne uffici governativi. Un uomo, dietro garanzia di anonimato, racconta a Radio Free Asia (Rfa) che le autorità hanno risparmiato le case di quanti nel vicinato “avevano buone relazioni con i signorotti locali”, ma hanno decretato “la demolizione della residenza” di proprietà della donna, trasferitasi nella zona due anni prima.  “La protesta – aggiunge – era contro questa ingiustizia decisa dai cinesi”. La donna abita nella Prefettura autonoma tibetana (Tap) di Yulshul e si è data fuoco il 27 giugno scorso nella cittadina di Jyekundo, in una zona poco distante dal monastero di Jyekun, tra le 3 e le 4 del pomeriggio.

Ne aveva dato notizia, il 29 giugno, la scrittrice e blogger tibetana Woeser. “Dickyi Choezom si è immolata con il fuoco nel corso di una manifestazione di protesta contro la politica di trasferimento forzato della popolazione locale e di espropriazione dei terreni attuata dal governo cinese”, ha reso noto il Parlamento Tibetano. “Alla protesta partecipavano circa settanta famiglie di tibetani che rivendicavano i propri diritti sulla loro terra”. Il personale di sicurezza cinese è intervenuto, ha spento le fiamme e ha ricoverato Dickyi all’ospedale di Siling. Parlando alla redazione del sito di informazione tibetano Phayul, un monaco tibetano in contatto con i compatrioti della regione ha fatto sapere che due famigliari di Dickyi che avevano preso parte alla manifestazione sono stati arrestati e picchiati. Il loro rilascio è avvenuto in seguito alle proteste degli abitanti di Keygudo alcuni dei quali hanno, a loro volta, minacciato di immolarsi se i due concittadini non fossero stati liberati. L’immolazione di Duckyi Choezom è avvenuta a una settimana di distanza da quella di Ngawang Norphel e Tenzin Khedup che, nella stessa regione, si erano dati alle fiamme chiedendo la libertà per il Tibet e il ritorno dall’esilio del Dalai Lama.

Al momento non si hanno informazioni sulle sue condizioni di salute, anche se alcune voci parlano di ferite “gravi” riportate in seguito al rogo. Le autorità cinesi hanno imposto una rigida censura nell’area e hanno eretto un cordone di sicurezza nel punto in cui è avvenuta l’auto-immolazione. Da giorni è impedito ogni incontro fra residenti tibetani dell’area. La famiglia ha cercato di visitare la donna in ospedale, ma i funzionari hanno bloccato ogni accesso e vietato ogni forma di contatto fra vittima e parenti.

Sulla vicenda è intervenuto anche il famoso poeta e scrittore tibetano Woeser, che al momento si trova a Pechino, il quale conferma l’auto-immolazione in un post pubblicato sul suo blog il 29 giugno scorso. Decine di giovani tibetani, monaci e laici, hanno scelto l’autoimmolazione come gesto estremo di protesta contro Pechino che continua ad arrestare chiunque manifesti dissenso contro il sequestro di terreni e la politica repressiva della cultura e religione tibetana. Nell’ultimo anno sono circa 40 i tibetani che si sono dati fuoco per criticare la dittatura di Pechino e chiedere il ritorno del Dalai Lama in Tibet. Il leader spirituale tibetano ha sempre sottolineato di “non incoraggiare” queste forme estreme di ribellione, ma ha elogiato “l’audacia” di quanti compiono l’estremo gesto, frutto del “genocidio culturale” che è in atto in Tibet. Pechino risponde attaccando il Dalai Lama, colpevole di sostenere “terroristi, criminali o malati mentali”.


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