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Il Tibet come nazione sovrana
Aprile 26th, 2013 by admin

Il Tibet occupa una posizione centrale nella mappa dell'Asia

Il Tibet occupa una posizione centrale nella mappa dell'Asia

Il Tibet come nazione sovrana: una realtà storica

di Chodup Tsering Lama

Il regime comunista cinese, gli storici filocinesi e altri schierati per interessi economici contestano la sovranità del Tibet prima dell’invasione da parte della Cina di Mao nel 1949.

I rapporti con la Cina dal settimo secolo in avanti sono stati effettivamente movimentati, ora bellicosi ora pacifici con e senza la demarcazione di una linea di confine certa come spesso accadde nella storia passata.

Non esiste una versione della storia attendibile che possa giustificare la spietata invasione del Tibet come tende invece a credere l’opinione corrente, poco informata sulla verità storica e culturale del Tibet, talvolta insabbiata e cancellata se non alterata e contraffatta senza pudore ed esitazione alcuna da parte del regime cinese.

Il Tibet non è mai stato parte integrale della Cina. La conquista e il dominio reciproci nel corso della lunga storia tra Paesi di confine ci sono stati. Tuttavia, se si seguissero le effettive testimonianze storiche e una serie di evidenze inconfutabili, sarebbe il Tibet a vantare l’inalienabile attribuzione di una buona parte del territorio cinese …e a questo punto è poco elegante negare la storia.

Matrimoni e alleanze tra Imperi

Il Tibet era riconosciuto e temuto come potenza e Nazione indipendente.

I Paesi confinanti, desiderosi di stringere buoni rapporti come anche di scongiurare possibili invasioni e sottomissioni, strinsero attraverso i matrimoni importanti alleanze.

Songtsen Gampo (regno: 595-605 circa – 649), 33° sovrano della dinastia Yarlung e 1° imperatore del Tibet, è considerato il primo sovrano storico e il vero fondatore della Nazione tibetana. Attorno al 624 sposò la figlia del re nepalese di Licchavi, la principessa Khri b’Tsun, detta Bhrikuti Devi (la dama reale) e nel 641 la Principessa cinese Wencheng, nipote dell’Imperatore della Cina Taizong della dinastia Tang.

Queste due famose mogli gli permisero di stringere alleanze con il Nepal e la Cina, di aprirsi nuove vie commerciali e di introdurre il buddhismo nel Paese

Infatti, Bhrikuti portò in dote la sacra statua di Avalokitesvara, e Wencheng portò quella di Jowo Sakyamuni, entrambe oggi custodite nel Jokhang a Lhasa.

Songtsen Gampo consolidò l’unità tribale, sia stipulando strategiche alleanze che conducendo una serie di vittoriose campagne. Espanse le frontiere del regno, confrontandosi vittoriosamente con i regni vicini e con l’impero cinese, avviando così il periodo aureo della storia militare del Paese, che fu per la prima volta unificato divenendo l’impero dominatore dell’Asia centrale per oltre due secoli.

I manoscritti delle Grotte di Mogao: la Cina sotto il dominio tibetano

Agli inizi del XX secolo lungo la Via della seta furono scoperte le Grotte di Mogao vicino a Dunhuang, l’attuale provincia cinese del Gansu: un sistema di circa 500 templi scavati nella roccia nell’allora Tibet nord-occidentale contenenti antichi manoscritti tutti databili fra il 406 e il 1002 (rotoli di canapa cinesi e tibetani, dipinti su seta e carta e molte figure di Buddha), tra i quali anche la completa genealogia degli imperatori tibetani. Essi illustrano inoltre le diversità culturali tra Tibet e Cina, nonché le loro vicende storiche tra cui l’occupazione dei territori cinesi durante la dinastia tibetana di Yarlung. La scoperta delle grotte richiamò numerosi studiosi e archeologici da tutto il mondo e oggi molti reperti sono conservati presso la British Library a Londra e la Bibliothèque Nationale de France a Parigi.

Nell’VIII secolo l’impero tibetano ebbe un periodo di splendore sotto il re Trisong Detsen (742-796); si estese nel territorio cinese e in altri Paesi dell’Asia Centrale, arrivando a occupare temporaneamente nel 763 la capitale cinese Ch’ang-an (chiamata anche la città di un milione di abitanti), l’odierna Xian, e imponendo all’imperatore nuovi confini e pesanti tributi. Gli storici cinesi non possono respingere questa realtà storica riportata nei resoconti dell’occupazione ritrovati tra i manoscritti delle Grotte di Dunhuang. Gli ordini scritti in lingua tibetana da un ministro tibetano ai generali che governavano le diverse città occupate riguardano le condizioni di vita dei cinesi oppressi. Il ministro esprime una dura critica ai frequenti casi di donne rapite, di ricchezze derubate e di altri atteggiamenti contrari all’etica sociale e religiosa. Si presume che tali ordini fossero stati inviati in seguito alle proteste e rimostranze da parte dei cinesi.

Un altro scritto antico descrive l’atmosfera generale dell’occupazione in questi termini: “tutti gli abitanti della città indossavano abiti stranieri (tibetani) ed erano sottomessi al nemico, ma ogni anno, quando si pregavano gli antenati, essi potevano indossare i loro abiti cinesi e piangevano malinconicamente”. I cinesi erano quindi autorizzati a indossare i propri costumi tradizionali durante celebrazioni religiose e in occasioni speciali. Questo è riportato anche nei New Tang Annals.

Inoltre, quando nel 786 Dunhuang e le altre città caddero sotto il dominio tibetano, gli invasori imposero ai cinesi di parlare la lingua tibetana e costrinsero i giovani a studiare lingua e scrittura tibetane. Simili avvenimenti sono unanimemente riportati nelle versioni di ricercatori e studiosi di manoscritti in tibetano dopo anni di attente ricerche. Secondo una delle ipotesi maggiormente seguita gli autori di questi manoscritti in lingua e scrittura tibetana erano cinesi.

L’editto di pace sulla stele a Lhasa

La massima espansione del Tibet si ebbe attorno all’810 durante il regno di Sedna Leg, il quarantesimo re; fu espugnata Samracanda e i tibetani si garantirono il controllo totale dell’antica Via della seta.

Il momento di pace e stabilità giunse fra Tibet e Cina dopo anni d’inquieta storia di guerra, tradimenti reciproci e un alternarsi di alleanze e lotte. La pace fu siglata tra il penultimo re tibetano Ngadak Trirel, detto anche Ralpachen (815-836) e Wenwu Xiaode Huangdi, l’imperatore cinese, al fine di garantire una stabilità territoriale ed evitare i ripetuti scontri sanguinosi che nel corso degli anni entrambe le parte subirono con enormi danni economici e perdite di vite umane. Il testo del trattato fu inciso nelle due lingue su tre stele di pietra, poste in seguito all’esterno del palazzo imperiale cinese di Ch’ang-an, di fronte al portone principale del tempio Jokhang a Lhasa e sul passo di Chiang Chun, nella provincia del Gansu, quale demarcazione del confine sino-tibetano. Di queste è tuttora esistente solo quella di Lhasa nella quale, tra l’altro, si legge: “Il grande re del Tibet e il grande re della Cina, stretti da legame parentela di nipote e zio, hanno discusso sull’alleanza tra i loro due regni (….). Il Tibet e la Cina si manterranno entro i loro confini attuali. Tutto ciò che si trova a oriente appartiene alla grande Cina, tutto ciò che si trova a occidente costituisce senza possibilità di contestazione il paese del grande Tibet (…). Questo solenne accordo dà inizio a una grande epoca nella quale i tibetani saranno felici nella terra del Tibet e i cinesi felici nella terra di Cina”.

Chodup Tsering Lama, esperto di storia e cultura tibetane, professore di filosofia buddhista. Fuggito dal Tibet ancora bambino, fu il primo tibetano a stabilirsi a Milano dal 1982 ed è oggi un autorevole rappresentante dell’intera comunità tibetana in Italia.


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