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Se il Dalai Lama non si reincarna. L’ultima sfida a Pechino.
Settembre 21st, 2014 by admin

L’annuncio del leader spirituale scatena l’ira delle autorità cinesi: “Rispetti le tradizioni”. Se il Dalai Lama non si reincarna. L’ultima sfida a Pechino. di Raimondo Bultrini- Repubblica 15.9.14
Bangkok non c’è niente di certo al mondo, nemmeno il prossimo Dalai Lama. È la morale che sembra uscire dalle parole dello stesso leader tibetano. «Se dopo di me verrà un Dalai Lama debole, allora meglio che l’istituzione finisca», sono state le parole rimbalzate come un tam tam tra milioni di buddhisti e simpatizzanti del Tibet dopo l’uscita di una intervista a giornale tedesco Welt am Sonntag. Un’eco tanto forte da arrivare finanche a Pechino, dove l’uscita del XIV Tenzin Gyatso ha però scatenato notevole irritazione, con un rovesciamento di prospettiva che la dice lunga sulla “Realpolitik” cinese: «Rispetti la tradizione», così si è rivolto il governo cinese al capo spirituale del buddhismo. «Nella versione pubblicata, la sintesi ha isolato poche frasi da un contesto più ampio», ci spiega il suo segretario personale Tenzin Takla. «Sua Santità — aggiunge — ha in realtà concluso l’intervista dicendo che quella di porre fine alle sue rinascite nella stessa funzione era una idea personale, e che spetta comunque ai tibetani decidere se l’istituzione dei Dalai dovrà restare o meno». Nondimeno la notizia ha avuto un forte impatto per la novità dei toni categorici usati nel ribadire che potrebbe essere lui l’ultimo della stirpe semi-divina incarnata come Dalai. Il leader spirituale — che intende vivere «fino a 113 anni» — ha infatti rimarcato che di fronte alla prospettiva di un «futuro disgraziato» del suo nome — ovvero espropriato dalle autorità cinesi — «meglio terminarlo adesso». Ma lascia capire che la fine “istituzionale” del Dalai non è anche quella dell’uomo che lo incarna. Prima di essere un leader politicoreligioso, il Dalai lama è infatti un bodhisattva , ovvero votato a reincarnarsi per il beneficio di tutti gli esseri viventi, non necessariamente «nello stesso corpo, ma con lo stesso spirito e la stessa anima», come ha detto al giornale tedesco.
Cosa succederà dunque alla sua morte? Per capirlo bisogna ricordare che il Dalai lama e il suo culto di “divinità della compassione”, è solo una componente del pantheon sacro nel Tibet buddhista, e che la fine del suo potere terreno e dell’incarico certo non significano la scomparsa della religione. I Dalai, che appartengono alla setta dei Cappelli gialli, o Gelupa, non furono nemmeno gli unici, nel Tibet antico, a scegliere di reincarnarsi per guidare i discepoli. Un tempo la scelta avveniva dopo una lunga selezione di bambini segnalati dai vari monasteri della scuola Gelupa tra quelli con segni speciali alla nascita (arcobaleni in cielo, fiori sbocciati fuori stagione ecc.). Un comitato di eminenti sacerdoti guidato dal Panchen lama — seconda figura gerarchica dei Gelupa — e dal Reggente del governo aveva l’ultima parola, e spesso restava virtualmente in carica per dirigere e consigliare i Dalai Lama anche nell’età adulta. Ma oggi le condizioni sono drasticamente cambiate, e tanto per cominciare non esiste più un Paese da governare, visto che Lhasa e gli altipiani sono in mano cinese.
Non a caso, le parole del Dalai Lama sono molto scomode per le autorità di Pechino. Alcuni giorni fa è stata una portavoce del ministero degli Esteri cinese, Hua Chunying, a ribadire seccamente che per quel che riguarda la reincarnazione, compresa quella del Dalai Lama, vi è «una procedura religiosa ed una tradizione storica da rispettare». Invece nell’ultima intervista il leader spirituale si è detto pronto a dare istruzioni per interrompere alla sua morte perfino la ricerca delle successive incarnazioni. Già nel 2006, in un colloquio per La Repubblica, ci disse che uno dei suoi modelli di futura governance himalayana è quello di un “conclave” su modello Vaticano, dove il prescelto emerge tra figure già «selezionate e qualificate». Disse che i maestri di ogni scuola, ma anche lama eruditi e perfino laici, potranno guidare i tibetani dall’esilio o in patria. «Il buddhismo tibetano — ribadisce oggi a Welt am Sonntag — non dipende da un individuo. Abbiamo una struttura organizzativa molto buona con monaci e studiosi altamente preparati».
Secondo Tenzin Takla, che da anni accompagna il Dalai Lama in ogni suo viaggio, questa frase è un’indicazione chiara per ciò che potrebbe succedere dopo di lui: «I cinesi hanno già predisposto ogni cosa per “scoprire” un loro Dalai Lama, ma se l’attuale dichiara interrotto il lignaggio, il prossimo non potrà che essere falso». È di fatto la stessa sorte già capitata ad un’altra “istituzione” secolare, quella dei Panchen Lama che sceglievano i bimbi candidati-Dalai e viceversa venivano scelti quando rinascevano loro. L’attuale Panchen, più che un vero “reincarnato”, è infatti un quadro scelto dal partito comunista cinese grazie a divinazioni affidate a lama compiacenti, mentre il bambino che fu scoperto e riconosciuto 19 anni fa dal Dalai Lama in Tibet è svanito nel nulla. Letteralmente.


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