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Tibet: Lobsang Gyatso monaco 19enne si dà fuoco. La polizia arresta un attivista.
Febbraio 15th, 2012 by admin

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Lobsang Gyatso, del monastero di di Kirti, a Ngaba, si è auto-immolato per protesta contro l’occupazione di Pechino. Le forze di sicurezza lo hanno picchiato in modo selvaggio mentre spegnevano le fiamme. Non vi sono conferme ufficiali del decesso. Le autorità hanno fermato Dawa Dorje, avvocato e difensore dei diritti dei tibetani. Dharamsala (AsiaNews) – Un giovane monaco di appena 19 anni si è dato fuoco ieri pomeriggio nella provincia cinese del Sichuan, in un’escalation di protesta contro la repressione imposta da Pechino. Si tratta del secondo gesto estremo in due giorni di ragazzi tibetani (cfr. AsiaNews 13/02/2012 Ngaba, muore con il fuoco una monaca buddista di 18 anni) e porterebbe a 24 il numero delle vittime– anche se non vi sono conferme ufficiali sul decesso – dal febbraio 2009. Intanto, le autorità cinesi hanno fermato un famoso avvocato che difende i diritti e la cultura delle popolazioni tibetane. Lo riferiscono fonti locali, che denunciano la scomparsa di Dawa Dorje – ricercatore governativo a Nagchu, nella Regione autonoma del Tibet (Tar) – dalla scorsa settimana nelle mani dei funzionari di Pechino per aver espresso preoccupazione per “la chiusura dei monasteri”. Nel pomeriggio di ieri Lobsang Gyatso, del monastero di Kirti, nella città di Ngaba, provincia del Sichuan, si è dato fuoco in pieno centro. Fonti locali, citate da International Campaign for Tibet (Ict) e Free Tibet, raccontano che è intervenuta la polizia, lo ha picchiato in modo selvaggio mentre spegneva le fiamme e lo ha portato via. Intanto le forze di sicurezza cinesi hanno allestito dei punti di controllo in tutta la città e hanno avviato irruzioni nelle case e perquisizioni a tappeto fra gli abitanti. Fonti anonime confermano inoltre il fermo dell’avvocato Dawa Dorje, arrestato all’aeroporto di Gonggar, a Lhasa, capitale del Tibet. Al momento “non si hanno ulteriori informazioni” sulla vicenda, raccontano le fonti, e la famiglia “sta cercando disperatamente di rintracciare il luogo in cui egli è detenuto”. Un amico di Dorje che vive in India, identificato con il solo nome di Rabgye, ha spiegato a Radio Free Asia (Rfa) che l’avvocato di recente aveva visitato il Sichuan, teatro da settimane di una violenta protesta anticinese. “Mi ha riferito – racconta l’amico – che la fonte maggiore di preoccupazione è la continua chiusura di monasteri a Driru”. Lo scorso fine settimana oltre 200 tibetani hanno manifestato nella città di Kyegudo, nella prefettura di Yulshul, mentre nella città di Kardze gli attivisti hanno innalzato dei cartelloni in cui chiedono l’indipendenza del Tibet. Nelle strade di McLeodganj, sobborgo di Dharamsala, i tibetani hanno brandito le foto di 22 persone della comunità che si sono date fuoco negli ultimi anni, mentre sarebbe in preparazione un video di denuncia che ritrae immagini di roghi e auto-immolazioni avvenute dal 2008 a oggi.  Il Dalai Lama e molte personalità del buddismo hanno più volte chiesto ai loro fedeli di non compiere questi atti e di pensare sul lungo periodo, ma hanno ammesso che le privazioni di libertà a cui sono costretti i tibetani aumentano di anno in anno. La polizia, su ordine del governo centrale comunista, invece di cercare il dialogo e frenare le morti, continua a mantenere sotto strettissimo controllo le regioni dove vivono i tibetani. Il segretario regionale tibetano del Partito comunista cinese ha invitato i suoi funzionari alla “guerra contro i secessionisti del Dalai Lama”, minacciando i funzionari che non si adoperano di cacciarli.

Tibet, monaco si dà fuoco per protesta.

di Enrica Garzilli, Il Fatto Quotidiano
E’ il terzo in una settimana
Continua l’escalation delle autoimmolazioni di protesta in Tibet. Ieri un monaco di 19 anni, Losang Gyatso, del monastero di Kirti, si è dato fuoco urlando slogan contro il governo cinese. Dall’8 febbraio è il terzo giovane che si dà fuoco per protesta contro l’occupazione cinese, chiedendo il ritorno del Dalai Lama a Lhasa. Due giorni prima di Losang, una monaca di 19 anni; tre giorni prima un monaco di 18. Il sacrificio di Losang è avvenuto alle 14:30 sulla via principale di Ngaba, una cittadina della parte orientale della Regione Autonoma del Tibet, la provincia che copre gran parte della nazione tibetana, occupata e incorporata nella Repubblica popolare cinese nel 1951. Secondo testimoni oculari, le forze speciali di polizia, accorse immediatamente per estinguere il fuoco, sono state viste picchiare Losang mentre lo portavano via in una località sconosciuta. Non si sa se sia deceduto in seguito, né dove sia tenuto prigioniero. Pare che la polizia abbia anche picchiato brutalmente due ragazzi tibetani che osservavano la scena. Fonti del monastero di Kirti dicono che uno di loro è riuscito a scappare con l’aiuto degli presenti, mentre l’altro è stato trascinato via mentre sanguinava copiosamente dalla testa e dalle braccia. Prima di Losang una monaca di 18 anni, Tenzin Choeden, sabato scorso si è immolata mentre urlava slogan contro il governo cinese. Veniva dal monastero di Mamae, sempre a Ngaba. Anche lei non è morta subito ma è stata immediatamente portata via dalle forze di polizia cinesi. In seguito all’episodio l’esercito ha circondato il monastero e lo ha sigillato. Questo è il secondo episodio di autoimmolazione a Mamae. Lo scorso ottobre ha compiuto l’estremo sacrificio una monaca di 20 anni, Tenzin Wangmo. Mamae Dechen Choekhorling, il più grande monastero femminile di Ngaba, è situato a tre chilometri dalla cittadina e ospita circa 350 suore. Durante le rivolte del 2008, che hanno coinvolto tutto il territorio del Tibet, diverse monache di Mamae che avevano compiuto una marcia di protesta portando un ritratto del Dalai Lama sono state arrestate e portate in prigione. L’otto febbraio invece il terz’ultimo caso, quando il 19enne Rigzin Dorje si è dato fuoco, sempre a Ngaba e sempre urlando slogan contro il governo cinese. Complessivamente l’intera regione di Ngaba ha visto 14 suicidi di protesta, mentre è salito a 24 il numero dei tibetani, laici e religiosi, che dal 2009 si sono sacrificati per dimostrazione contro l’occupazione da parte della Cina e per chiedere il ritorno del loro leader spirituale. Solo nel mese di febbraio, 6 persone.
In molte parti del Tibet le comunicazioni sono interrotte e c’è una situazione di implicita legge marziale che è seguita agli eventi delle ultime settimane. Secondo il governo tibetano in esilio a Dharamsala, in India, si teme che almeno 12 tibetani siano rimasti uccisi recentemente dal fuoco della polizia. I giornalisti stranieri non sono ammessi. Il Club dei corrispondenti stranieri in Cina, l’associazione professionale dei giornalisti stranieri a Beijing, ha dichiarato agli inizi di febbraio che “le autorità cinesi hanno messo un massiccio cordone di sicurezza per impedire che i giornalisti entrino nella provincia del Sichuan occidentale [Ngaba – ndr] dove la protesta è più forte – incluso le uccisioni e le autoimmolazioni”.
Un giornalista britannico, Jonathan Watts del Guardian, è riuscito a nascondersi ed entrare a Ngaba, Aba in cinese, e girare qualche minuto di video, che è stato pubblicato ieri. Riporta come ogni 30-40 metri lungo le strade della città ci siano gruppi di poliziotti che siedono insieme in uniforme antisommossa e bastoni. “E qualcosa che non ho mai visto da nessun’altra parte prima, da qualcuno di questi bastoni esce una punta di metallo. Sembra del tutto medioevale”. E continua: “mi ricorda i viaggi in Irlanda del nord al culmine dei problemi, dove per le strade passavi di blocco in blocco.” La repressione cinese non colpisce solo i tibetani. Pochi giorni fa il dissidente politico Zhu Yufu è stato condannato a 7 anni di prigione per “attività criminale che mette in pericolo la sicurezza dello Stato”: ha pubblicato una poesia online incitando i cinesi a scendere in piazza: “è tempo di usare i vostri piedi e andare in piazza per fare una scelta” .


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