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Tibet. Vincere la paura, aprire i cuori.
Aprile 21st, 2008 by admin

La danza sacra Cham compiuta dai monaci tibetani in meditazione.

La danza sacra Cham compiuta dai monaci tibetani in meditazione.

Tibet. Vincere la paura, aprire i cuori. Intervista esclusiva a Raimondo Bultrini di Francesco Pullia

Raimondo Bultrini, giornalista, scrittore, corrispondente dall’Asia del quotidiano “La Repubblica”. E’ stato più volte a stretto contatto con il Dalai Lama. Da anni vive in Thailandia. Sta terminando un libro che sicuramente contribuirà ad offrire spunti per approfondire uno scenario particolarmente complesso. Ha pubblicato, tra l’altro, il diario di un viaggio in Tibet con Choegyal Namkhai Norbu, fondatore della Comunità di Merigar, Arcidosso (GR). Lo abbiamo raggiunto e intervistato in esclusiva per Notizie Radicali.

1) Il Dalai Lama insiste nella sua volontà di colloquiare con HuJintao. Il governo di Pechino, da parte sua, pare proprio non volerne sapere e, anzi, accentua la repressione nello Xinjiang e in Tibet mostrandosi sprezzante nei confronti dell’opposizione interna ed esterna e delle, per la verità finora molto blande, rimostranze occidentali. La data dell’inizio delle Olimpiadi, intanto, si avvicina. Si verificheranno, alla fine, sensibili cambiamenti oppure Pechino punterà su una sorta di “implosione” e rimozione dei fatti profittando del suo ruolo in campo economico?

Raimondo Bultrini. Il Dalai Lama insiste perché, anche a mio modestissimo avviso, non si può sperare in altro che in un dialogo che un giorno avvicini non tanto i governanti – che sono soggetti agli umori dei vari momenti della storia – quanto la gente. Intendo dire che il problema del Tibet è un problema di fiducia, correttezza e comprensione reciproca. Perché? Ma perché, come ha detto S.S., che lo vogliano o no, i tibetani devono convivere con i cinesi che non sono certo in procinto di lasciare in massa il Tibet perché qualche manifestante blocca la torcia a Parigi e Londra, o perché Hu Jintao una mattina per miracolo si sveglia e chiede loro di lasciar la gallina dalle uova d’oro. Il turismo è una manna del cielo – aggiunto alle risorse preziose, al legname,al controllo dei fiumi e dei confini strategici – e per questo i cinesi hanno ricostruito monasteri e messo a controllarli finti abati e finti monaci che ogni settimana tengono lezioni di rieducazione sociale e religiosa. Certo, difficilmente la posizione del dialogo porterà da qualche parte, visti, come dicevi, i forti interessi economici in ballo. Ma dove porta l’altra posizione, la resistenza, magari violenta, come in parte è stata? A maggiore incomprensione, a maggiori conflitti “ideologici”, a maggiore rifiuto di accettare anche le minime sacrosante richieste della popolazione di avere diritto a studiare la propria lingua, ad avere quote di posti di lavoro, di negozi nel “loro” centro cittadino, veri maestri e veri monaci a capo dei monasteri, una relativa rilassatezza nelle relazioni umane. Senza contare che con la violenza o una richiesta di indipendenza il Dalai Lama perderebbe anche l’appoggio di personalità come i leader americani, tedeschi, inglesi, francesi. Ripeto, è tutto molto difficile, ma l’utopia come abbiamo visto con anarchia e comunismo non funziona su questa terra. Che non è Shambala e non lo è mai stata nemmeno in Tibet.

2) La Marcia verso il Tibet, dopo una lunga pausa, ha ripreso il suo cammino. Come giudichi l’iniziativa? Può avere la sua utilità? Il Dalai Lama teme un esito cruento in seguito all’intervento delle sentinelle cinesi al confine con il Tetto del Mondo e, insieme al Kashag, ha, in un certo senso, mostrato di gradire poco questa manifestazione che, invece, è stata accolta con entusiasmo dagli esuli tibetani. Ritieni che sia alternativa o complementare alla politica perseguita dal governo tibetano in esilio?

Raimondo Bultrini. Uno degli ideatori, Tenzin Tsundue, mi disse che il Dalai Lama svolge il suo business di leader spirituale e ispiratore di compassione, anche verso i cinesi. Loro come movimento, pur rispettandolo, svolgono il loro di ferventi patrioti che vogliono tornare in una madre terrapiù libera e riprendere ciò che fu tolto tanto tempo addietro. Il problema è sempre lo stesso: i mezzi per riuscirci e le potenzialità. Il giorno in cui vedremo branchi di gazzelle aggredire violentemente una massa di tigri e leoni allora potremmo dire che quello e’ il segno miracoloso di un ribaltamento delle leggi del karma in questo mondo nel quale viviamo. Credo che troppi, anche tra i simpatizzanti tibetani, dimentichino il potere degli insegnamenti, quel potere che permette al Dalai Lama di restare saldo alla guida quanto meno delle centinaia di migliaia di esuli e tibetani e occidentali che stanno diffondendo il Dharma nell’Occidente, quei principi che da soli,quando il tempo sarà maturo, potranno portare a un effettivo cambiamento. Nello specifico, la marcia è una cosa molto bella,soprattutto perché ha davvero rispettato i principi iniziali nonviolenti. Quando la polizia indiana ha fermato i marciatori, loro si sono seduti sullo stile di Gandhi e si sono fatti portare via, come hanno testimoniato gli stessi radicali presenti guidati da D’Elia. Per questo i cinesi non l’hanno ancora potuta usare come strumento di propaganda come hanno fatto con le immagini delle vetrine rotte e gli incendi dei negozi, o della torcia presa di forza a una povera handicappata utilizzata dalla furba macchina propagandistica cinese.Come finirà la marcia? Io credo ben prima del confine, perché gli indiani saranno costretti a togliere la castagna dal fuoco alla Cina.Ci saranno proteste in Cina, ripercussioni internazionali. Ma sarà in termini di realpolitik il male minore.

3) Il Dalai Lama si professa ammiratore e discepolo di Gandhi e,in effetti, in modo encomiabile, non perde occasione per dimostrarsi continuatore del satyagraha. Tuttavia tra il metodo adottato dalla guida tibetana in esilio e quello seguito dal fautore dell’indipendenza indiana sembra esserci qualche differenza di fondo,se non altro per il fatto che il primo è costretto a confrontarsi con la coriacea satrapia di Pechino mentre il secondo dovette scontrasi con i britannici? Tra l’altro, Gandhi si batteva per l’indipendenza,il Dalai Lama per l’autonomia…

Raimondo Bultrini. Beh credo che la prima ed enorme differenza sia nel numero delle forze in campo. Un miliardo di indiani che chiedono l’indipendenza a pochi drappelli di inglesi sebbene con fucili è cosa ben diversa che chiederla a un miliardo di fucili Han contro qualche migliaia di bandiere col leone delle nevi. Poi, come hai detto, Pechino non è Londra, e il Comitato centrale del PCC non è la Camera dei Lord.

4) La frattura tra la linea seguita dal Dalai Lama e quella scaturita dall’insofferenza popolare tibetana sarà in qualche modo ricomposta e tutto convergerà in un’azione comune? Sembra siano state nuovamente sguainate le spade dei fieri khampa…

Raimondo Bultrini. I fieri khampa dovranno decidere – il tutto in teoria ovviamente – se farsi sterminare e ottenere certo qualcosa in più, o se invece continuare ad affidarsi ai grandi maestri della loro gente che ancora resistono all’integrazione attraverso l’applicazione degli antichi insegnamenti, non solo nei monasteri ma anche fuori, nei vasti altipiani, nei posti dove i cinesi avrebbero seri problemi a resistere in condizioni di vita dure e difficili. La frattura dovrà per forza ricomporsi e si può solo aspettare il tempo in cui la storia indebolirà anche l’attuale apparentemente immarcescibile regime diPechino. Non dimentichiamo che la storia cambia continuamente, che i mongoli dominarono l’Impero, e anche i tibetani nell’ottavo e nono secolo erano una seria minaccia per la Cina. Non dimentichiamo nemmeno che più volte gli imperatori dovettero pregare il Dalai Lama di tenere a bada i mongoli, e che il buddhismo è entrato prima in Cina che in Tibet. Lo spirito religioso non è qualcosa che si ferma con le Grandi Muraglie e i fucili. Riemerge nel tempo. Anche se forse la nostra generazione non avrà il tempo di vederlo.

5) Quale sostegno concreto può giungere dall’occidente non solo ai tibetani ma agli stessi cinesi che si battono per la democrazia?

Raimondo Bultrini. Vincere la paura dei cinesi in generale, invitarli al dialogo in ogni paese, a conferenze, discussioni, andare in Cina e parlare con la gente, e soprattutto informarsi sulla storia. Almeno quanti sono interessati al Tibet dovrebbero conoscere la vera storia e andare a Lhasa come turisti e parlare con la gente. Non facciamo come abbiamo fatto con i poveri birmani, già abbandonati a se stessi perché non fanno più notizia. Ricordiamoci almeno che le Olimpiadi iniziano l’8-8-08, esattamente vent’anni dopo – 8- 8 -88 – il massacro di tremila studenti nelle vie di Yangoon da parte di un regime militare alleato di Pechino. Vincere la paura dei cinesi attraverso l’arma della conoscenza è un processo che deve avvenire davvero,dentro ognuno di noi. Io personalmente negli anni ’80 dirigevo una piccola rivista che si chiamava Oriente, edita dall’Associazione Amici della Cina. Non avevo ancora conosciuto il Tibet, e non c’era ancora stata Tien An Mien. Ma avevo davvero voglia di capire come l’antica saggezza del confucianesimo e del taoismo avrebbe risolto il problema di sfamare un miliardo di esseri umani. Purtroppo ho dovuto scoprire che in realtà i saggi sono stati sconfitti, e le riforme di un uomo che io reputo ancora il migliore tra i cinesi dell’era moderna, Deng Xiao Ping, fu costretto a piegarsi di fronte all’evidenza del rischio di dissoluzione dell’ultimo impero, quello socialista. L’episodio culminante, e deprimente, fu la scelta degli studenti di piazzare la Statua della Libertà in piazza di fronte alle telecamere degli stessi giornalisti cinesi e del mondo. Fino ad allora avevano mosso i cuori dei loro connazionali (anche perché erano i figli dell’establishment, nessuno studia all’università di Beijing senza soldi e parenti potenti) con la richiesta di una maggiore democrazia, del diritto allo studio, e invocavano Hu Yaobhang come loro leader ideale (Hu Yaobhang chiese tra l’altro scusa ai tibetani per il trattamento riservato loro dalle autorità cinesi locali…). Era un momento favorevole, si abbinava alle riforme in atto, avrebbe potuto portare al dialogo tra gli studenti e le autorità, visto che Zhao Zheyang, il segretario del partito, era dalla loro parte, e Deng li considerava un po’ suoi figliocci. Ma dopo quella statua tutto crollò. Come pensate che reagirebbero le autorità di Washington se vedessero il ritratto di Mao sulla V strada? Forse senza carri armati, d’accordo. Ma credo sia chiaro ciò che intendo.

6) Come giudichi il satyagraha mondiale per la pace lanciato da Pannella e dal Partito Radicale Nonviolento Transnazionale? Alla base c’è la consapevolezza dell’inadeguatezza del feticcio della sovranità nazionale e la necessità di oltrepassarlo verso un compiuto federalismo.

Raimondo Bultrini. Devo ammettere francamente che da qui non seguo più molto le cose che succedono in Italia (per la mia pace mentale e per la tristezza di vedere il mio paese ridicolizzato ovunque mi capiti di viaggiare da questa parte dl mondo), anche se ne ho sentito parlare e la ritengo come tutte le cose ispirate a Gandhi un messaggio per il mondo di domani. Anche il Dalai Lama ha sostenuto una cosa analoga, invitando Cina e Tibet a federarsi come l’Europa. Gandhi come il Dalai Lama, e spero anche Pannella, ha parlato con il suo esempio, e chiunque sia in grado di dare un esempio rispetta il principio più grande dell’insegnamento non solo buddhista, ma del vero spirito di saggezza dell’uomo: la società comincia dal numero uno, che è la prima cosa sentita dal mio maestro tibetano Chogyal Namkhai Norbu. Anche Gesù Cristo ha fatto del resto lo stesso, col suo esempio di virtù portato all’estremo sacrificio, forse anche eccessivo visto che da duemila anni anche i suoi seguaci perseguono ancora la pratica della guerra.Ma prima che il mondo diventi Shambala,una terra di santi, ce ne corre., Nemmeno il Tibet come sappiamo era Shambala, e le lotte intestine unite ai comportamenti scorretti degli individui hanno danneggiato anche la leadership dei veri santi che guidavano o istruivano popolo e governanti. Per questo non ci si può aspettare che la Via di Mezzo porti a qualcosa di concreto entro pochi mesi o anni.Non è pessimismo,ma realismo. Molto meglio cercare allora di non arrivare al momento del dialogo quando saranno rimasti talmente pochi esseri umani sul pianeta che non ci sarà nemmeno qualcuno con cui parlare!.

7) La posizione riluttante e ambigua del Vaticano è dettata, a tuo avviso, oltre che da opportunismo politico, anche da una sorta di atteggiamento refrattario e anticonciliare delle gerarchie ecclesiastiche nei confronti del buddhismo e più in generale delle visioni orientali?

Raimondo Bultrini. Opportunismo politico dev’esserci stato, visto che tanti altri papi hanno ricevuto il Dalai Lama e non solo in quanto leader religioso da rispettare. Vorrei ricordare a quanti hanno dimenticato che l’attuale papa, quando era responsabile della Congregazione per la dottrina della fede, o qualcosa del genere, disse che le preghiere buddiste erano una sorta di “masturbazione mentale”. Disse proprio così. In un’occasione mi capitò di riferire la cosa al Dalai Lama che rise di gusto. Mi disse con la sua saggezza penetrante e sempre rispettosa delle opinioni altrui: “Certamente ogni preghiera è anche una sorta di piacere temporaneo…”. Per dare un altro esempio delle acute risposte che distinguono quest’uomo senza molti paralleli nella storia moderna, ricordo quando un vescovo abruzzese gli impedì di mettere piede in una chiesa vicino l’Aquila. “Lo capisco – mi disse il Dalai Lama – anche noi anticamente abbiamo spesso fatto lo stesso…” Una risposta che vale per molte altre cose: il tempo passa, le circostanze cambiano, e nel futuro avremo solo due opzioni: l’autosterminio o la collaborazione per salvare questa barca piena di buchi che è il nostro pianeta.

8) Su Repubblica di sabato scorso mons. Ravasi ha scritto: “Tutta l’iconografia cristiana rappresenta i santi con gli occhi aperti sul mondo, mentre l’iconografia buddhista rappresenta ogni essere con gli occhi chiusi. Con acutezza lo scrittore cattolico inglese Gilbert K. Chesterton segnalava, attraverso questa sua battuta, una componente radicale e decisiva della visione ebraico-cristiana: essa si affaccia sulla piazza e non si autoreclude nel bozzolo dorato della contemplazione o nel recinto sacrale del tempio, avvolto negli incensi, squarciato dal baluginare dei ceri, percorso da voci solenni e animato da riti ieratici”. Non ti pare che si tratti di una visione molto riduttiva del buddhismo finalizzata a contrabbandare la”superiorità” dell’orizzonte giudaico-cristiano? Che dire, allora, dell’impegno concreto dei monaci buddhisti in diversi paesi del sudest asiatico.

Raimondo Bultrini. Personalmente ritengo che la differenza basilare sia nella pervicace volontà di proselitismo del cristianesimo nella sua declinazione cattolica . Questo nel buddhismo non si ritrova assolutamente. A proposito degli occhi, credo esista una risposta venuta molti secoli fa dal maestro Padmasambava che importò il buddismo in Tibet nell’VIII secolo: “Per vedere fuori abbiamo gli occhi, per vedere noi stessi abbiamo lo specchio”. Che vuol dire? Noi siamo capaci di osservare ogni cosa, ogni dettaglio di ciò che gli altri fanno, e continuamente giudichiamo: vediamo una cosa bella e la desideriamo,la vogliamo, ne vediamo una brutta e cerchiamo di allontanarcene e rifiutarla. Ma non è questo – il dualismo del soggetto e dell’oggetto come lo chiamano i buddhisti tantrici – il giusto processo della conoscenza. Lo specchio a cui si riferiva quel grande maestro, che fu una delle incarnazioni successive del Buddha, è la purezza della nostra mente nel suo stato naturale. Lo specchio – sia che si abbiano gli occhi chiusi o aperti -riflette il bello e il brutto ma non giudica, non lo rifiuta.Riflettere dovrebbe essere la nostra attività principale. Ma credo che molti alti sacerdoti, gran parte dei politici, fino alla persona ordinaria, perdono più tempo a distrarsi con i giudizi sugli altri che a riflettere. Certo non si può stare sempre con gli occhi chiusi. Ma prima di imparare a riflettere tenendoli aperti sulle cose del mondo bisogna imparare un segreto difficile, l’equanimità. La realtà non è come una favola, che svanisce quando torniamo a osservare il mondo com’è veramente. Il saggio indiano Shantideva diceva: il mondo è pieno di spine, ma non puoi coprirlo interamente di cuoio. Sarà sufficiente che ne indossi due strisce sotto i piedi. Ecco, credo che l’antica saggezza buddhista abbia molto da insegnare non già ai veri Cristi o seguaci di Cristo, ma a quanti parlano senza riflettere sulla vera natura della realtà, che è bella o brutta, ma è parte del nostro karma. Ovvero il karma di esseri umani. Meglio forse di quello degli animali, ma peggiore delle divinità che non hanno interesse e desiderio di battersi per “la mia religione, il mio punto di vista”.Anche se crescono, gli uomini convivono con la sindrome del “mio giocattolo”, come bambini incapaci di crescere, vivere e morire illuminati dalla luce della saggezza. Quindi, a parte i monaci buddhisti che svolgono attività sociale (ce ne sono molti di più tra i cristiani e cattolici) il vero principio , il più alto del buddhismo è quello dei devoti alla via del Bodhisattva, che pone la realizzazione di tutti gli esseri davanti alla propria stessa liberazione dal ciclo di sofferenza. Come un pompiere che torna più e più volte nel cuore dell’incendio per salvare il maggior numero di vite possibile, loro tornano sulla terra a dare consigli e a invitare alla riflessione. E poi le statue dei Buddha non hanno gli occhi chiusi. Forse per paura che possano spaventarsi, alcuni cattolici non le osservano bene, ma in generale le statue del Buddha hanno gli occhi socchiusi, non come certe persone che li spalancano alla vista di oro, belle donne e ricchezze mondane. Mi domando davvero come si possa giungere a certi livelli di discussione senza conoscere la base fondamentale della discussione. Come un cattolico può parlare di buddhismo senza conoscere la profonda e antica filosofia o viceversa? Come si può parlare di Tibet e Cina senza conoscere la differenza tra questi due popoli che vissero per millenni l’uno sulle cime degli altipiani e l’altro nelle valli bagnate dai fiumi (un tempo puliti e senza dighe) che scendevano dall’Himalaya? Immaginiamo oggi di essere ancora invasi da truppe tedesche e da coloni di Amburgo, Berlino e Francoforte, con quattro milioni di tedeschi e due milioni di italiani a Roma (questo il parallelo di Lhasa, duecentomila han contro centomila tibetani). Certo saremmo tecnologicamente forse più avanzati, con frigoriferi più robusti e una burocrazia magari meno corrotta (non so, dico per dire). Ma il nostro spirito e il nostro sangue ribollirebbe di rabbia, e dovremmo reprimerla. Vinceranno i nostri corpi, troveranno alleati italiani collaborazionisti. Ma non vinceranno i nostri cuori, né ora né mai. Così succede in Tibet, dove purtroppo i bodhisattava non possono intervenire con le armi degli uomini, ma solo con quelle della saggezza che trascende la storia. Il tempo passa, i fiumi scorrono e nuova acqua scende dai ghiacciai. Un giorno, come dicevano i cinesi, forse vedranno a Lhasa scorrere il cadavere dei loro nemici. Non intendo in senso fisico, ma nel senso del passato che defluirà finalmente verso l’Oceano che non rifiuta nessun fiume.

9) La questione tibetana rischia di rinfocolare storiche tensioni tra India e Cina?

Raimondo Bultrini. Su questo sarò davvero breve: non in questa fase storica in cui le due economie devono sostenersi reciprocamente nella competizione globale. A meno che i cinesi non commettano qualche errore clamoroso come rivendicare di nuovo fortemente fette di territorio indiano. E a meno che il Bjp tornando al potere non decida di trasformare l’India nel vero faro della democrazia “spirituale” mondiale. Cosa improbabile, e cosa che il Congresso di Sonia e Singh con il suo appoggio alla giunta birmana e il corteggiamento agli stessi regimi africani sostenuti da Pechino non sta certo perseguendo.

10) Un’ultima domanda. Il buddhismo thailandese si riallaccia alla scuola theravada ed ha avuto straordinari esponenti come il Venerabile Ajahn Chah (1918-1992), della cosiddetta tradizione della foresta. Come giudicano i bhikku le proteste dei monaci tibetani e dei brimani? C’è, a tuo avviso, una sorta di “internazionale buddhista” (terminologia sicuramente impropria ma utile per i lettori occidentali)?

Raimondo Bultrini. Abbiamo visto durante il passaggio della torcia a Bangkok che non c’è stata nessuna manifestazione di monaci buddhisti a favore dei loro fratelli di fede tibetani. Del resto il buddhismo Theravada vede tradizionalmente con sospetto il Mahayana, all’origine di quello Vajrayana del Tibet, e i monaci della foresta di Ajan Chah e Buddhadasa Bhikku sono molto stimati, ma ben poco seguiti nella vita quotidiana del popolo. E’ troppo difficile capire il loro messaggio simile a quello dei bodhisattva, mentre è molto più facile prostrarsi ai piedi delle statue del Buddha (che non si prostrò mai di fronte a statue e nemmeno a se stesso), coprirle d’oro, innalzare templi e accendere incensi che non capire la vera via della conoscenza. Questa presuppone caratteristiche che sarebbe troppo lungo spiegare qui. Rimando semmai i lettori di Notizie radicali ai tanti libri importanti sul Mahayana e il Vajrayana. Compreso, umilmente, quello che mi appresto a pubblicare. http://associazioneradicalesatyagraha.blogspot.it/2008_04_01_archive.html


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