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Anche la lingua tibetana è in via d’estinzione
Aprile 6th, 2013 by admin

Esibizione di tangka (dipinto votivo su tela) durante celebrazione nel monastero di Drepung

Esibizione di tangka (dipinto votivo su tela) durante celebrazione nel monastero di Drepung

Anche la lingua tibetana è in via d’estinzione

di Claudio Cardelli

È di questi giorni la notizia dell’ennesima chiusura verso l’esterno del Tibet. A tempo indeterminato. Così ogni anno nel periodo del Losar (il capodanno tibetano) la tensione è alle stelle.

Negli ultimi quattro anni più di cento tibetani si sono dati fuoco per protestare contro il regime di Pechino. Solo questo può far comprendere il loro livello di esasperazione dopo 62 anni di occupazione del loro Paese. Una delle ragioni alla base di questa dolorosa e drammatica protesta è il piano cinese, ormai quasi giunto a termine, di cancellare l’uso della lingua tibetana; piano che si aggiunge alle altre violazioni dei diritti umani basilari sistematicamente perseguite in Tibet.

La reazione delle autorità cinesi a queste proteste conosce una sola direzione: repressione! Questo è il Tibet oggi. Un Tibet in cui tutti gli elementi essenziali della cultura di questa antica nazione sono umiliati e vilipesi senza pietà, per far posto a un modello economico-sociale totalmente alieno a quello degli originali abitanti. Oggi, la lingua tibetana è di fatto bandita dalle scuole in Tibet per far posto al mandarino. È inutile porre l’accento su cosa significhi privare un popolo della propria lingua madre.

Come se in Italia a un certo punto fosse invasa da una potenza straniera che distrugge la quasi totalità del patrimonio artistico; obbliga a imparare la propria lingua, così diversa dall’italiano, e l’utilizza per tutta la segnaletica, la modulistica degli uffici e le insegne dei negozi. I nostri figli incominciano a parlare fra loro in nella lingua straniera, mentre gli anziani sono sempre più isolati per la difficoltà di apprendimento e il rifiuto di adeguarsi al nuovo corso.

Questo è ciò che accade in Tibet. La scomparsa della lingua è un progetto scientifico di Pechino, ben architettato, che mira alla “soluzione finale”.

L’antica scrittura sillabica fu portata in Tibet dall’India nel VII secolo da Tonmhi Sambhota, ministro dell’allora re Songtsen Gampo (regno: 595-605 circa – 649). Secondo la tradizione egli fu inviato dal re in India per studiare l’arte della scrittura che introdusse poi in Tibet. I caratteri sono simili a quelli dell’alfabeto devanagari (alfabeto usato in diverse lingue dell’India come il sanscrito e l’hindi).

In Tibet ci sono tre sistemi ortografici standardizzati dopo l’invenzione della scrittura. Il più importante, utilizzato per la trascrizione dei testi buddhisti, fu elaborato nel corso del IX secolo. Da allora, l’ortografia tibetana non fu più alterata.

La lingua è uno dei tanti elementi di relazione culturale e religiosa del Tibet più con la “sorella” India che con la Cina.

La lingua tibetana è completamente diversa da quella cinese. Appartiene al ceppo tibeto-birmano, anche se, recentemente, alcuni linguisti hanno coniato il termine “sino – tibetano” per definire il gruppo linguistico comprendente cinese, daico, tibetano o bodico e birmano, con distinte sottofamiglie per le prime e le ultime due lingue. Tuttavia questi raggruppamenti linguistici non intaccano la sostanziale differenza tra cinese e tibetano. La lingua cinese, infatti, usa gli ideogrammi ed è monosillabica, tonale e senza coniugazioni. La lingua tibetana, invece, ha un alfabeto ed è polisillabica. Possiede inflessioni, declinazioni e generi mutuati dal sanscrito e non è semanticamente tonale. Il tibetano ha preso alcune parole dal cinese, ma anche dalle lingue indiana, nepalese e mongola; contaminazioni osservabili nell’evoluzione di qualsiasi lingua. Oggi, dopo più di cinquant’anni di occupazione, solo pochissimi coloni cinesi parlano il tibetano mentre le giovani generazioni tibetane sono obbligate ad apprendere il cinese parlato e scritto.

Claudio Cardelli, Presidente dell’Associazione Italia-Tibet, da oltre 30 anni impegnato per il riconoscimento dell’identità di questa terra e strenuo sostenitore della causa tibetana. Documentarista e reporter, autore di diverse pubblicazioni e documentari, fra cui il volume Tibetan Shadows, Ed. Mediane 2008.


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