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La cultura tibetana e’ un patrimonio dell’umanità’ e va protetta
Giugno 8th, 2008 by admin

Di seguito pubblichiamo la toccante lettera scritta da Mariateresa Bianca, – una interprete italiana che lavora nella cittadina indiana di Dharamsala, traducendo gli insegnamenti del Dalai Lama per i gruppi di nostri connazionali in visita nella zona che ospita la piu’ grande comunita’ di tibetani in esilio. Teresa e’ sposata con un accademico tibetano, costretto diversi anni fa alla fuga dal suo Paese.

Caro Avanti! All’Hotel Ashok in New Delhi, lo scorso 27 marzo, ho sentito un tonfo al cuore e un’ondata di tristezza quando Sua Santita’, il XIV Dalai Lama, rispondendo alla domanda di Piero Cerri, un vecchio studente di buddismo tibetano, su cosa si potesse fare per contribuire ad una soluzione pacifica della questione tibetana, ha risposto che il Tibet, insieme alla sua ricca eredita’ culturale e’ in via d’estinzione, sta morendo. Non che non lo sapevo, ma queste poche parole, pronunciate con un lungo sospiro, mi hanno spezzato il cuore e mi hanno fatto decidere che dobbiamo e possiamo fare qualcosa. Per tutti quelli che sono stati toccati, in un modo o nell’altro, direttamente o indirettamente, dal buddismo tibetano in generale, e da Sua Santita’, in particolare, questo e’ il momento di darsi da fare, altrimenti potrebbe essere troppo tardi. Chi e’ stato toccato senz’altro sentira’ questa chiamata, ma anche chi non ha avuto particolari connessioni sentira’ un forte senso d’ingiustizia, leggendo le notizie e le argomentazioni che propongo qui di seguito. E’ necessario fare qualcosa per salvare la ricca cultura tibetana perche’ in essa sono contenuti insegnamenti che hanno la potenzialita’, se messi in pratica, di contribuire, in modo significativo, a risolvere molti dei problemi che l’umanita’ e anche il mondo vegetale e animale stanno sperimentando oggi. Durante il discorso pronunciato a Washington in occasione del conferimento della medaglia d’oro, Sua Santita’, ringraziando tutti, disse che i valori umani, i quali promuove incessantemente, gli sono stati trasmessi prima da sua madre e poi dai suoi maestri, e sottolineo’ che grazie all’ambiente culturale in cui era cresciuto aveva avuto la possibilita’ di essere, in primo luogo, esposto a quelle qualita’ interiori, e poi di averle potute coltivare. L’ambiente di cui parlava Sua Santita’ a Washington e’ quella della cultura tibetana. Percio’ diventa necessario fare qualcosa per salvare questa cultura, che dovrebbe essere considerata “un patrimonio dell’umanita'”, e come tale dovrebbe essere protetta. Proteggere quest’antico gioiello, che ha la capacita’ di rispondere a molti dei quesiti moderni, comincia dalla conoscenza dei fatti; e diventa nostra responsabilita’ cercare le notizie vere. Dal punto di vista della storia moderna, il Tibet e’ stato vittima di una delle piu’ pesanti manovre colonialiste degli ultimi 50-60 anni. Un immenso territorio, non solo quello che oggi va sotto il nome di Tibetan Autonomous Region (TAR), ma anche tutte quelle aree a cultura tradizionalmente tibetana, annesse direttamente alla Repubblica Popolare Cinese, e che sono grandi due volte il TAR, come Qinhai, Sichuan, Gansu, Yunnan, con i suoi abitanti, le sue risorse naturali, le specie vegetali e gli animali rarissimi, hanno subito un cambio di proprieta’, passando dalle mani dei suoi legittimi e originali proprietari, a quelle di una delle piu’ potenti e popolate nazioni della terra. Non che questo non fosse gia’ avvenuto nel passato in scala altrettanto grande, ma il Tibet e’ stato uno degli esempi piu’ recenti di una politica colonialistica obsoleta e datata, che si basa sull’espansione territoriale, annettendosi la terra del proprio vicino di casa, per raggiungere l’obiettivo della propria sicurezza nazionale. L’invasione, la violazione, e l’annessione del Tibet avvenne tra il ’49 e il ’59, sotto gli occhi dell’India, dell’Inghilterra, dell’America e della Russia, che facevano finta di non vedere, forse a causa di altri interessi che avevano sulla loro agenda cinese. Allora il mondo giro’ le spalle al Tibet, ma oggi, grazie a una nuova consapevolezza dell’umanita’ nel suo complesso, si potrebbe evitare di ripetere lo stesso errore, poichè abbiamo la possibilita’ di renderci conto che la distruzione di questa cultura e’ una perdita per tutti noi, e il genocidio di questo popolo e’ come l’uccisione di una parte di noi stessi, ed entrambe sono cose inaccettabili! Il genocidio del popolo tibetano sta avvenendo con grande rapidita’ attraverso il trasferimento di cinesi nei territori tibetani, e con il conseguente tentativo di far assimilare i tibetani dai cinesi. Le cifre sono allarmanti: nella capitale tibetana, Lhasa, i tibetani rappresentano gia’ solo una minoranza della popolazione, circa un terzo e la tendenza continuera’ solo ad incrementare. Secondo alcune fonti attendibili, dopo i giochi olimpici, dovrebbero stabilirsi nel TAR circa un milione di nuovi immigrati cinesi. L’irresponsabile politica cinese sul territorio tibetano e i danni che ne derivano causano preoccupazioni da un punto di vista ambientale. Con la stessa velocita’ della crescita dell’economia cinese, procede anche la deforestazione e la conseguente desertificazione sull’altopiano tibetano. I danni sono osservabili dalle immagini satellitari, dove si nota una colonna di aria calda che si innalza dalle regioni orientali tibetane e che va a disturbare le forti correnti d’aria stratosferiche, e si riscontra lo scioglimento di molti ghiacciai. L’attivita’ di deforestazione ha ridotto l’area che era coperta da foreste del 30 o 40 percento, secondo le regioni, nel periodo tra il 1950 e il 1985. Inoltre, si continuano a costruire strade per raggiungere le regioni piu’ isolate, per facilitare il diboscamento, causando l’ulteriore distruzione dell’habitat naturale. C’e anche un progetto di deviare le acque e costruire la piu’ grande stazione idroelettrica nel mondo sul fiume Yarlung Tsampo (Brahamaputra). Se questo progetto va in porto, come previsto nel 2009, avrebbe conseguenze catastrofiche per tutti i paesi orientali bagnati attualmente dalle acque del Yarlung Tsampo, che resterebbero a bocca asciutta o sarebbero ridotti a ricomprare dai cinesi l’acqua. Il progetto include l’uso di materiale nucleare nelle esplosioni per costruire un tunnel di 16 chilometri attraverso il monte Namcha Barwa, come pure l’inondazione e conseguente scomparsa dello straordinario e non ancora completamente classificato habitat del canyon “della Grande Curva” che solo recentemente e’ stato esplorato a fondo e dichiarato il piu’ lungo e profondo canyon nel mondo. Quest’area si chiama in tibetano Pema Ko ed e’ stata considerata sacra da generazioni di tibetani. Le conseguenze delle decisioni cinesi sull’uso dell’acqua non possono essere sottovalutate, perche’ dall’altopiano tibetano, sgorgano tre dei dieci maggiori fiumi del mondo: il Brahmaputra (o Yarlung Tsampo in Tibet), lo Yangtze e il Mekong; cosi’ come altri grandi fiumi, come il Fiume Giallo, il Salween, l’Arun, il Karnali, il Sulej, e l’Indo. Il 90 percento delle loro acque scorre a valle in Cina, India, Bangladesh, Nepal, Pakistan, Tailandia, Myamar, Laos, Cambogia, e Vietnam. Per concludere, e’ realistico considerare che il problema ambientale tibetano tocca non solo i sei milioni di tibetani, ma anche i milioni d’abitanti dei paesi confinanti e, indirettamente, anche tutti noi perchè sono state provate le connessioni globali fra gli interventi locali e quelli a livello mondiale. Ancora una volta, e’ necessario considerare l’importanza del principio dell’interdipendenza, cosi’ spesso citato da Sua Santita’. Non solo dal punto di vista filosofico, come colonna centrale degli insegnamenti buddisti, ma anche per quanto riguarda i tentativi di risolvere problematiche politiche, sociali e ambientali, il principio dell’interdipendenza, patrimonio della cultura tibetana, e’ molto significativo e utile. Attraverso la comprensione del principio dell’interdipendenza e’ possibile capire come siamo tutti dipendenti gli uni dagli altri, e come e’ irrealistico pensare di risolvere i problemi solo a livello locale. Ed e’ il principio dell’interdipendenza che permette di apprezzare la visione “della Via di Mezzo” proposta da Sua Santita’, e dal suo governo in esilio, per risolvere la questione tibetana.. Qualcuno pensa che i danni alla cultura e all’ambiente in Tibet siano irreversibili, ma in molti si crede che non sia ancora tempo di gettare la spugna, e che questa non debba diventare una di quelle cause perse e dimenticate; se una soluzione pacifica sara’ trovata velocemente, ci sono ancora margini di possibile guarigione, anche se le ferite inferte al popolo, alla cultura, e all’ambiente del Tibet, sono state davvero profonde. E’ necessario operare immediatamente, perchè le nuove generazioni, educate secondo i principi materialistici della societa’ cinese, stanno mostrando di cominciare a perdere quelle qualita’ interiori che hanno reso Sua Santita’, e il buddismo tibetano in generale, cosi’ famosi. Infatti, durante le rivolte spontanee cominciate il 10 marzo, e non ancora finite, sia nel TAR, sia in Amdo e Kham, e persino in alcune citta’ cinesi, ci sono stati incidenti di violenza. Ci sono stati atti di violenza brutale da parte dell’esercito cinese con la perdita di molte vite, e le cifre esatte non sono ancora state accertate; ci sono stati atti di violenza operate da “provocatori travestiti da tibetani”, ed infine, ci sono stati atti di violenza da parte d’alcuni tibetani come espressione di una frustrazione comune derivata da anni d’umiliazioni, emarginazioni e abusi. Tutta questa violenza e’ avvenuta in contemporanea dell’assenza degli insegnamenti dei valori tradizionali culturali e spirituali tibetani, perchè etichettati come “retrogradi” e “reazionari”. Benchè questi atti di violenza da parte dei tibetani sono limitati a pochi individui, come diceva Richard Gere durante un’intervista, e’ uno degli aspetti piu’ tristi degli ultimi avvenimenti perchè dimostra di quanto i cinesi siano stati abili. In questi casi, i tibetani hanno perso la speranza di una soluzione pacifica, e il loro ricorrere alla violenza, come rimedio ai soprusi subiti, significa soccombere a quella visione ristretta di cui i cinesi si sono fatti portatori. Come diceva Sua Santita’, i politici cinesi dovrebbero studiare un po’ di psicologia umana e rendersi conto che, con il loro comportamento, possono solo aspettarsi reazioni simili. Se gli episodi di violenza, che si sono conclusi con danni agli edifici, ai negozi e alle automobili della polizia, sono paragonati alle reazioni di moltissimi monaci e monache, che hanno subito l’imprigionamento e le torture in qualche caso anche per oltre 20 anni, si puo’ capire il grande pericolo che i cinesi stanno correndo. Nel caso dei religiosi che hanno subito violenza, e’ stato riscontrato, con molto stupore, che non dimostravano segni di traumi psicologici, ma anzi avevano saputo trasformare i periodi di enormi difficolta’ in una palestra spirituale, dove incrementare le loro qualita’ interiori, e aumentare la compassione. Questi individui, cresciuti nella millenaria cultura tibetana, consideravano la perdita di compassione per i cinesi o il desiderio di arrabbiarsi con loro come il pericolo piu’ serio che avevano dovuto affrontare durante la loro lunga prigionia. Il Prof. Robert Thurman, professore di Studi Buddisti Indo-Tibetani al Dipartimento di Religione della Columbia University di N.Y., e padre dell’attrice Uma Thurman, consiglia di immaginare per un momento uno scenario completamente diverso, uno scenario che, come dice Richard Gere, non e’ poi cosi’ lontano, visto che richiede essenzialmente solo un cambiamento nel modo di pensare. Immaginiamo che il presidente cinese Hu Jintao vince, non l’alloro olimpico, ma il Premio Nobel per la pace, per aver deciso di sedersi al tavolo delle trattative, e ad ascoltare finalmente cio’ che Sua Santita’ sta dicendo sin dagli anni settanta. Hu Jintao che viene premiato per aver approfittato con coraggio di quest’opportunita’, che “fa tremare la terra”, e per aver capito che e’ nell’interesse stesso della stabilita’, unita’, e prosperita’ della Repubblica Popolare Cinese, garantire un’autentica autonomia amministrativa ai tibetani delle tre regioni (U’Tsang, Amdo, e Kham) con la conseguente liberta’ che li permetterebbe di usare la loro lingua, professare la loro religione, conservare il loro distinto modo di vivere, trasmettere i tradizionali valori della loro cultura alle nuove generazioni, e prendersi cura dell’ambiente secondo i criteri gia’ ampiamente descritti nei loro testi. Il presidente cinese otterrebbe il massimo riconoscimento internazionale e sarebbe ricordato per questo. Inoltre il governo cinese potrebbe trovare nuove soluzioni, non esplorate fin d’ora, a causa della sua attuale cecita’, ai non pochi problemi sociali interni causati da un’industrializzazione esasperata, da un deterioramento ambientale senza precedenti, da una mancanza di valori morali, e il concomitante e allarmante aumento della criminalita’. Ascoltare Sua Santita’ puo’ cambiare completamente la qualita’ della vita di piu’ di un miliardo di cinesi, aiutandoli a recuperare la loro stessa antica spiritualita’, e a liberarsi da un modello sociale eccessivamente imperniato su valori materialistici e militaristici, Insomma immaginiamo che la ragione vinca l’obsoleta e atavica credenza che si possano ancora, nel XXI secolo, vincere guerre con la forza e la brutalita’; immaginiamo una vittoria sulla mancanza di speranza che e’, ancora citando il Prof. Thurman, il piu’ grande ostacolo per l’umanita’. In quest’era dell’informazione, la lotta per la liberazione deve includere necessariamente la divulgazione e condivisione di informazioni, e percio’ mi sono permessa di prendere qualche minuto del vostro tempo prezioso chiedendovi di leggere questa lettera aperta e di divulgarla, se siete d’accordo con i contenuti. .

8 Giugno 2008 Mariateresa Bianca

 


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